E dunque, vediamola così: "Agata" è un nome da zitelle. Vecchie zitelle. Così abbiamo deliberato in casa: e la povera bimba che ho incontrato due giorni fa è segnata, infiocchettata ed etichettata verso una vita di solitudine e infelicità. Già la vedo agonizzare fra muraglie di confezioni di zucchero e di carta igienica millenarie ed essere ritrovata imbalsamata e scambiata per una mummia azteca di contrabbando.
Chi era questa povera sventurata?
Nientemeno che la figlia (probabilmente secondogenita) di un ragazzo... be', un uomo, che conosco da almeno dieci anni ma che non vedevo da almeno otto. E dove avviene questo fortuito inatteso incontro? Al supermercato. Per maggior chiarezza, nel parcheggio: il sagrato laico della sconsacrata chiesa commerciale.
È stato un incontro molto piacevole, in verità. Ma che cosa può essermi venuto in mente, durante gli stupiti convenevoli per cercare di colmare una decina di anni di assenza? Il merluzzo. Certo, signori e signore, il merluzzo mi è venuto in mente: avevo un chilo di merluzzo surgelato in borsa che dovevo traghettare al più presto in un freezer per non perdere ben 4.96 euro.
Così, a dispetto della mia parte umana, ho dato ascolto al concentrato dei miei deliri: al ritmo del mantra interiore "il merluzzo non deve sciogliersi", ho liquidato con cortese frettolosità una persona che, nella folla di imbecilli abbandonata da quegli anni, ho sempre salvato nei miei ricordi con simpatica cura.
E tanto per completare la sensazione di scivolare via dal mondo come la glassatura del merluzzo nello scarico del lavandino, la fastidiosa puntura della domanda fra me e me mentre tornavo alla macchina: "ma che poi dovrei saperlo se era sposato con... con... come si chiamava quella? Ma era quella poi?". Vanità delle vanità, tutto è vanità.
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